lunedì 15 luglio 2013

OBAMA-OSAMA-EGITTO: FAR SPARIRE I MORTI FALSI E I VIVI VERI

La più faccia come il culo della settimana. Enrico Bondi, commissario Ilva e zerbino dei Riva: “Strage di tarantini per le troppe sigarette”. La più fetida della settimana. La teenager pakistana Malala, manipolata dalla Cia a 12 anni per blaterare proclami filo-americani, ferita da uno sparo misterioso che i Taliban hanno sempre negato, ora spedita all’ONU per propagandare la falsità che l’Islam non consente la scuola alle bambine. Esempio di stupro psicologico. La più chiavica della settimana. L’ebetino Renzi, archetipo di fuffarolo reazionario, dopo averla ottenuta dai banchieri scampaforca delle Cayman, dal delegato del popolo Briatore, dal padrino immortale di Arcore, ottiene l’investitura a rottamatore d’Italia anche da Angela Merkel. Ma passiamo alle cose serie.

Obama, tu uccidi un Osama morto
Il despotismo dell’oligarchia Usa, oramai al più alto tasso criminale del pianeta, assopitisi prontamente i sommessi rilievi della politica politicante e mediatica dei sub-briganti UE-Nato sullo stupro della democrazia e dei diritti umani (quelli veri) operata dal sistema di controllo e repressione totali del sistema “Prism”, non ha esitato un battito di ciglia per compiere un ulteriore passo verso l’annientamento della sovranità popolare. Giorni fa il regime dell’autocrate per conto terzi Bilderberg, Obama, ha fatto sparire dalla banca dati del Pentagono i dossier segreti relativi al raid dei Navy Seal, 2 maggio 2011, contro il presunto nascondiglio del presunto Osama bin Laden ad Abbotabad, Pakistan. Il resoconto di una delle più grottescamente bucherellate fandonie dell’era imperiale, dopo quella dell’11 settembre, è stato affidato agli impenetrabili caveau della Cia, a Langley. Da qui, diversamente da quanto avrebbe potuto essere preteso con i dati depositati nel Pentagono, nessun “Freedom of Information Act”, la legge che autorizza i cittadini a entrare in possesso di informazioni di Stato di pubblico interesse, potrà mai più esigerne la consegna e pubblicazione.

La vicenda di quelle teste di cuoio che avrebbero, fucilandolo e poi buttandolo a mare senza una sola foto e un solo frammento di DNA che confermassero l’identità del giustiziato, eliminato dalla scena il personaggio che aveva offerto agli Usa il destro per una serie di guerre genocide, ha potuto passare nelle cronache, e da lì ai libri di storia, solamente grazie alla complicità di un apparato mediatico pari a una voliera di pappagalli e alla minchioneria credulona di un pubblico occidentale ridotto a quoziente di intelligenza zero. La “più trasparente amministrazione della storia”, come il taumaturgo concepito nelle provette di Wall Street aveva definito il suo governo, aveva già dato prova di coerenza quando, senza arrossire, due anni fa aveva dichiarato all’agenzia Associated Press che non era stato possibile rintracciare nel Pentagono alcun documento che si riferisse all’operazione di Abbotabad. Quando, sorpresa!, i documenti furono poi ritrovati, ecco che istantaneamente sono stati sotterrati per sempre nei cimiteri delle verità Cia. La ragione? “Il trasferimento è servito a proteggere il personale coinvolto nel raid”. Protezione tardiva, visto che ben 25 partecipanti all’incursione, cioè quasi tutti, sono già morti. Nessuno dei quali nel suo letto, o di influenza aviaria. Misteriosamente, per non meglio specificati “incidenti di combattimento o addestramento”. Il colpo più grosso fu lo schianto di un elicottero in Afghanistan che eliminò dalla scena – e dal rischio di inopportune confidenze – ben 22 Navy Seal di quelli impegnati nella missione che avrebbe dovuto rappresentare la vittoria definitiva sul terrorismo (salvo resuscitarlo tra i seguaci di Osama in Libia, Siria, Boston e ovunque tornasse utile).
Andrebbe anche ricordato, ma solo di striscio per non turbare i pappagalli, che la morte del diabetico Osama, da anni incatenato alla macchina della dialisi, come constatò il capostazione Cia che lo visitò in un ospedale di Dubai settimane prima della demolizione controllata delle Torri Gemelle, venne annunciata dallo stesso presidente pachistano Musharraf nel dicembre 2001 e poi confermata da innumerevoli fonti diplomatiche e mediatiche. Solo che, senza Osama in vita e indefesso bombarolo, come si sarebbe potuta perpetuare il nulla osta della pubblica opinione alle guerre esterne ed interne programmate (vedi PNAC) in vista della dittatura mondiale dell’1%. Se poi i burattinai di tutto questo risolsero di giocarsi l’eliminazione del Nemico Pubblico Numero Uno nel 2011, non fu tanto perché le esibizioni video di un Osama una volta invecchiato, una volta ringiovanito e dalla morfologia facciale in disinvolta mutazione, avessero suonato la sveglia al pubblico, ma perché quale incentivo migliore si poteva offrire al voto per il secondo mandato del fiduciario nero? E non si doveva forse coinvolgere nel tripudio della “missione compiuta” anche Hollywood? Certo che si doveva! Il pubblico, come perfino Berlusconi ha imparato, va travolto con la carezza delle emozioni, mica gli va caricato l’onere del pensiero. E lì Hollywood è maestra. Con sceneggiatura Cia e regia di Kathryn Bigelow, già collaudata ballista cinematografica con la celebrazioni dei diritti umani Usa importati in Iraq, il film “Zero Dark Thirty” ha corrisposto degnamente alla bisogna.Tanto che il “manifesto” non ha mancato di dedicargli un paginone di commossi apprezzamenti.

Del resto, se c’è chi allegramente si beve uno dopo l’altro gli sciroppi miracolosi del guaritore stregone, dal miracolo tecnologico-organizzativo dell’11 settembre e seguenti, attribuiti a quattro scalzacani barbuti di Tora Tora, ai “rivoluzionari democratici” che liberano Libia e Siria, dall’Obama che, come lo idolatra Furio Colombo, “pone fine a tutte le guerre”, al “governo di servizio al paese” di Lettusconi (termine poi rubatomi da Travaglio), dalla formidabile barzelletta che lo spionaggio planetario della NSA  serva a prevenire attentati di Al Qaida, al Renzi di sinistra, se, come un passerotto nel nido, si fa imbeccare ogni sorta di vermi, allora s’ingolla senza problemi anche il “papa dei poveri” e il golpe contro la democrazia in Egitto.

Il gioco delle tre carte Mubaraq-Morsi-Al Sisi: dove sta Obama?
Partiamo da quest’ultimo. Colpo di Stato, senz’altro, compiuto da uno dei degli apparati militari più corrotti, venduti, fascistoidi del mondo, vincolati al Pentagono come  l’ultimo barbone alla mensa della Caritas. Ma “contro la democrazia”?  “L’un padrone e l’altro sul collo vi sta”, si potrebbe chiosare, parafrasando Manzoni, grandissimo poeta. Costretti, magari neanche di malavoglia, da una rivoluzione di decine di milioni a togliere di mezzo i fin lì collusi-collisi della Fratellanza Musulmana, emuli in chiave religiosa delle peggiori dittature dei gorilla latinoamericani, a ciò mandati dagli ufficiali pagatori e addestratori di Washington, i militari del generale Abdel Fatah Al Sisi hanno attuato il piano C dei loro padroni. Disintegrato dalla forza di popolo il piano A, incarnato dal satrapo Mubaraq, fallito il piano B che, sui nuovi modelli turco, tunisino, libico, e su quello collaudato dei petrotiranni sunniti del Golfo, avrebbe garantito agli antropofagi del neoliberismo totalitario il perfezionamento USraeliano del Grande Medio Oriente, non rimanevano che i militari del piano C.

Piano la cui riuscita è stata salutata dall’ house organ della Cupola, il Wall Street Journal”  del 7 luglio, con l’auspicio “Ora, in Egitto occorre un Pinochet, visto che fu il generale cileno a riportare la democrazia in quel paese” Si potrebbe obiettare che attribuire a Pinochet il ritorno alla democrazia marciando su 3.000 assassinati e 30mila torturati, equivale a dire che la Thatcher ha portato il socialismo al Regno Unito e Berlusconi la legalità all’Italia. Operazione comunque in perdita. Nell’immediato, grazie al marasma in cui sono precipitati i suoi mandanti per aver perso la testa di ponte sunnito-integralista nella regione. E, nel medio e lungo periodo, di fronte alla longevità e profondità delle forze insurrezionali in Egitto e al loro irriducibile agitarsi in altri paesi della cosca affratellata: Turchia, Bahrein, Tunisia, la stessa Arabia Saudita.

Qui i chierichetti inciuciati nella liturgia bipartisan delle nostre varie Chiese, infastidendo non poco i mandatari a Washington di ogni golpe degli ultimi decenni, militare, come in Honduras o Egitto, istituzionale, come da noi e negli stessi Usa, hanno fatto le prefiche del funerale della “democrazia” egiziana. La democrazia di un bruttissimo barbuto – come dimostrano il neorenziano Bettini e la signora Cancellieri, dopo i trent’anni ognuno ha la faccia che si merita – era stata costruita con mattoni di qualità: abolizione della Costituzione, sottomissione del giudiziario e del legislativo all’esecutivo, costituzione integralista redatta dai chierici della Fratellanza, assunzione da parte di Morsi di tutti i poteri già del tiranno precedente, occasionali massacri di manifestanti antiliberisti, antiautoritari e antintegralisti, abolizione del diritto di sciopero, neoliberismo privatizzante esasperato sullo sfondo della bancarotta economica e della catastrofe sociale, intese rafforzate con Israele e sostegno ad Hamas dopo ché  questo si era fatto paralizzare dal sorriso disarmante dell’emiro del Qatar, partner dei nazisionisti nella frantumazione della nazione araba. Democrazia, se tutto ciò non bastasse, rigurgitata da un’elezione ridicolizzata dai brogli, boicottata dal 70% degli elettori e che ha messo sul trono uno votato da non più del 15% degli aventi diritto.

L’un padrone e l’altro sul collo vi sta. O piuttosto, vista la mala partita dei fratelloni, tanto caritatevoli quanto ladroni e fascisti  in tutta l’area, l’un padrone dopo l’altro. Di tutto questo ce ne frega poco, alla faccia degli alti lai sollevati, in pacificata unanimità con Emma Bonino, dai democratofiliaci del “manifesto, nel quale tale Giuseppe Acconcia sta onorevolmente continuando nelle orme dell’altro africanista, Stefano Liberti, che bazzicava tra i tagliagole e stupratori di Bengasi descrivendoli nei panni di tanti San Giorgio contro il drago Gheddafi. Ce ne frega proco perfino dei militari golpisti poiché, comunque, saranno comandati a fingere un’evoluzione democratica con nuove costituzioni, elezioni e, rimedio D: la nomina dell’ennesimo uomo di Washington, stavolta in abiti borghesi, a garanzia di continuità coloniale neoliberista, strategica, filoisraeliana, tenuta al guinzaglio dei finanziamenti qatarioti, sauditi e Usa, indispensabili alla sopravvivenza dei saprofiti.

Siria, dopo la debacle militare del nemico, ora la sua frantumazione politica

Quella che, invece, ci importa e ci rallegra moltissimo in quanto priorità positiva assoluta, è l’eterogenesi dei fini per la quale dal cappello a stelle e strisce del golpe è uscita e svetta la bandiera della Siria e della liberazione dei popoli della regione tutti. La debacle degli islamofascisti si riverbera su tutta la regione, mina alla base il trono di Erdogan, fa temere contagi sempre più dirompenti tra i petromonarchi e, dunque, colpisce al cuore la cospirazione Nato-Al Qaida contro la Siria di Assad  e l’Iran di Rohani. Del trambusto in cui il collasso egiziano sta gettando l’intera confraternita integralista, con annesse le truppe di sfondamento salafite, sono segni incoraggianti sia l’ennesimo scontro al vertice della Coalizione Nazionale Siriana, alla quale i sauditi hanno ora imposto un loro capo in sostituzione di quello caro al Qatar, sia lo scannarsi tra di loro tra “ribelli” di diverse obbedienze e sette, tra Free Syrian Army (i Fratelli favoriti dall’Occidente e dai sauditi) e le belve cannibali di Al Nusrah-Al Qaida (care a Qatar e coordinate da Israele). Queste ultime hanno ammazzato la settimana scorsa nientemeno che Kamal Hamami, uno dei massimi comandanti della FSA.

Ultime notizie confermano che i ratti Al Qaida di Al Nusrah e le pantegane del “Libero Esercito Siriano”, entrambi messi in fuga dalle forze patriottiche, insistono ora a massacrarsi a vicenda. Intanto gli Usa chiedono ai commessi locali turchi e giordani di far arrivare armi e istruttori solo ai “moderati” della Fratellanza nella Coalizione Nazionale-Free Syrian Army. Analogo è l’intento dei sauditi, alleati da sempre più affidabili. Qatar e Israele, da tempo uniti in teologia, tattica e strategia, prediligono le soluzioni drastiche perseguite da Al Nusrah-Al Qaida. A Francia e Regno Unito va bene tutto, purchè si abbatta Assad e si ricolonizzi la Siria. Disorientati e scompigliati i fronti occidentale e arabo. Grande è il disordine sotto il cielo.

Messo alle strette dalla consunzione dei propri compari islamisti, Israele è ricorso, in coordinamento con gli affini teocrati dementi di Al Nusrah, al suo classico repertorio pirata: missile Cruise dal sommergibile tedesco sul deposito di armi fornite dai russi a Latakia e bomba nel cuore dell’area Hezbollah a Beirut. Crimini con i quali la banda degli aggressori si consola delle sconfitte subite dai suoi mercenari a Homs, Aleppo e Deraa. Spazzati vie dalle città, i surrogati Nato ricorrono ancora agli attentati terroristici contro civili e al blocco dei rifornimenti vitali, specie ai cittadini di Aleppo. Crimini di guerra che a Bonino e sguatteri mediatici gliene cala meno dell’espulsione di una kazaka sodale di un farabutto internazionale.

Pro-integralisti totalitari nel nome della democrazia
Tornando all’Egitto delle prefiche democraticiste, non aveva, il democratico Morsi, aggiunto i suoi invasati tagliateste sunniti a quelli armati e spediti da Usa, Turchia, Qatar, Arabia Saudita, perché affogassero la Siria, dopo la Libia, in un oceano di morte e di atrocità mai visto neanche con Gengis Khan?  Non intendeva Morsi forse opporre l’Umma islamica fondamentalista e feudalmente neoliberista agli Stati-nazione arabi, sempre a rischio di recupero antimperialista sotto la spinta di masse sempre più coscienti e incazzate.? Non erano forse stati allevati  i cucciolotti della Fratellanza, fondata nel 1928 da Hassan Al Banna, nella tana del leone britannico, in funzione di contrasto alle nascenti istanze nazionali e anticoloniali che poi avrebbero portato alla liquidazione del dominio britannico impersonato da re Faruk?

Ed è forse questa caduta del progetto affidato a Morsi ciò che più impensierisce e disturba i sicofanti bipartisan della democrazia violata in Egitto, ma bell’e ignorata quando i putsch buttano giù qualche “regime dittatoriale” che tentava di fare più gli interessi del suo popolo che quello di Exxon, Monsanto, o City Bank. Vedi Honduras, Paraguay, Afghanistan, Serbia, Costa d’Avorio, Mali, Libia, Iraq… Violata e bypassata, questa democrazia, alla grande anche quando, nella “più grande democrazia del mondo”, dalle violazioni dei Nixon, Reagan e Bush, Obama accelera verso lo Stato di polizia planetario, sorretto dal terrorismo e dalla sorveglianza universale.

Chiudendo sull’Egitto, il grandioso movimento antagonista che, dalla prima Primavera araba ha innescato fiamme in tante parti del mondo, non è negabile che ora si trovi tra l’incudine di una guerra civile scatenata dai Fratelli e il martello di una giunta militare che spazza via gli islamisti per aver mano libera di narcotizzare e poi liquidare la rivoluzione con un clone Usa in abiti civili. Siccome la crisi  della restaurazione colonialista è generale e Russia e Cina non si acconciano più a soluzioni bombarole atlantiche, non è remota l’eventualità che, nel tempo, si sgretoli l’incudine e si ottunda il martello. Tanto più se si compie, auspice anche il marasma delle cancellerie occidentali, la vittoria militare dei patrioti siriani (cui è venuto ora il supporto dell’ineccepibile indagine russa che ha sventato la provocazione Nato delle armi chimiche  scoprendo arsenali e utilizzi di gas nervino da parte dei mercenari salafiti. Cosa che la Siria ha chiamato l’ONU a verificare)..


Quell’Acconcia lì, in perfetto sincronismo con gli scrivani imperiali del Corriere e, ahinoi, del Fatto Quotidiano (dove, agli esteri, imperversa l’ultrà sionista Furio Colombo), fattasi suggerire l’analisi da certi “socialisti rivoluzionari” egiziani, che a me ricordano tanto i nefasti del nostrano “socialismo rivoluzionario” e dei trotzkisti assortiti impegnati via via contro i dittatori Milosevic, Gheddafi, Saddam, Assad, arriva all’apoteosi della mistificazione democraticista quando, con triplo salto mortale carpiato, mette i deprecati generali golpisti a pari col movimento dei “Giovani Ufficiali” della rivoluzione nazionalista, antimperialista, panaraba e progressista di Gamal Abdel Nasser, padre del riscatto arabo. Dando prova di perizia da funambolo, un tantino meno di giornalista, arriva ad assegnare al generale Al Sisi una matrice nasseriana, a dispetto del fatto che l’uomo è cresciuto ed è stato istruito nell’US Army War College di Carlisle, da dove è uscita gran parte dei militari golpisti sparsi dagli Usa in America Latina e nel mondo, già capo dei servizi segreti militari per volontà della Cia e da anni principale interlocutore di Israele. All’astuto Giuseppe Acconcia è anche sfuggito quanto rivelato da funzionari del Pentagono, che Al Sisi, durante l’intera operazione, è sempre stato in “stretto contatto” con il segretario alla Difesa Usa, Chuck Hagel. Un’intesa elaborata nel febbraio scorso, quando Al Sisi si è incontrato con il capo del Comando Centrale Usa e con l’ambasciatrice al Cairo Anne Patterson, per discutere i mezzi militari che “pongano rimedio all’instabilità politica dell’Egitto”. 

E’significativo il particolare che è proprio contro il partito nasseriano “Karama” e il suo leader, Hamdin Sabahi, principale esponente della sinistra ed erede dell’Egitto migliore, quello di Nasser, che si è esercitata la repressione del combinato militari-Fratelli, ora scombinato dall’insurrezione vera, durante le varie convulsioni della vicenda politica, arrivando a negargli con i brogli il secondo posto alle elezioni, che lo avrebbe potuto vedere vincitore nel ballottaggio con Morsi. E’ interessante vedere con chi si allineeranno questi paladini della democrazia. Un’indicazione la possiamo già trarre da Amnesty International, collaudata mosca cocchiera dei genocidi imperiali con le sue oscenità dirittoumaniste contro Libia e Siria. Nelle vicende egiziane nulla ha deprecato dei misfatti islamisti e militari, limitandosi invece alla vibrante denuncia del centinaio di stupri di donne che sarebbero accaduti in Piazza Tahrir. Chi c’era in Piazza Tahrir se non i milioni di insorti contro il tiranno insediato dagli Usa? Colpevol,i di conseguenza, degli stupri coloro che la rivoluzione la fanno. E con le donne in testa. Mai fare confronti, tracciare paralleli, si rischierebbe di vedere un’analogia tra le violenze in Piazza Tahrir e quelle inflitte alle donne da altri ratti fratelli. Lo stupro è del terrorismo imperiale un’arma  privilegiata e il compenso collaterale ai mercenari.

Nessun commento: