Intervista a Fulvio Grimaldi di Tareq Hassan per AL BALAGH
https://www.youtube.com/live/NC2FVvIIQAw?si=5oUQ7HIsmqyKgwXR
Il Canale arabo AL BALAGH mi dà la gradita opportunità di
rivolgermi, da cronista della vicenda palestinese dalla Guerra dei Sei Giorni,
attraverso le battaglie dei Fedayin, le Intifade, fino al genocidio di Gaza, a
una presenza araba in Italia e in Europa
Colgo l’occasione anche per confutare un pericoloso, per
quanto perlopiù involontario, assist alla narrazione sionista di quanto abbiamo
visto succedere negli ultimi due mesi a Gaza e in Cisgiordania.
Ricordate, al tempo della seconda guerra all’Iraq (2003) e
della successiva resistenza nazionale irachena all’occupazione USA e NATO, il
veleno sparso su Saddam Hussein con l’accusa che, dopotutto, “era stato l’uomo
degli americani” e che per anni l’Iraq sarebbe stato armato dagli Stati
Uniti? Una sporca calunnia che un trentennio
di opposizione irachena agli interventi e intrighi di Washington contro il
mondo arabo e di sostegno materiale e politico alla lotta palestinese smentisce
radicalmente. Io ero a Baghdad durante la seconda Guerra del Golfo e posso
testimoniare che di armi statunitensi in Iraq non c’era neanche una vecchia
colt del West. L’arsenale iracheno era composto esclusivamente da armamenti
sovietici, risalenti a decenni prima.
La calunnia era finalizzata a distruggere l’immagine dell’Iraq
resistente e del suo leader, facendone un miserabile doppiogiochista, così
minando l’opposizione internazionale alla guerra amerikana e la solidarietà
alla resistenza irachena.
Stesso procedimento oggi per Hamas. Non potendosi fare
capace del crollo del mito dell’onnipotenza e vulnerabilità israeliana,
retroterra anche della impunità di un regime genocida, ci si inventa e si
propaga la menzogna di un Hamas, complice sostanzialmente di Netaniahu, in
quanto dal premier israeliano favorito nella nascita e nello sviluppo e,
addirittura, foraggiato, se non direttamente, quanto meno favorendo il
trasferimento di finanziamenti dal Qatar all’organizzazione islamica.
In questa mefitica trappola sono caduti anche commentatori e
analisti di provata esperienza. Era la facile occasione per spiegare come il 7
ottobre, l’operazione di presa di ostaggi da parte di Hamas, abbia potuto
sorprendere uno degli eserciti e una delle intelligence più potenti del mondo.
Ma se lo spionaggio e il terrorismo israeliano hanno la fama
che meritano, lo stesso non vale per le forze armate, ripetutamente sorprese e
battute sul campo di battaglia (Guerra del Kippur, guerre del Libano,
dirottamenti). Un esercito dotato dell’unica vera forza aerea della regione e
quindi bravissimo a sterminare con i bombardamenti, ma poco efficace sul
terreno, per essersi dovuto confrontare per decenni unicamente con ragazzini
lanciapietre.
Lo dimostrano anche i contraccolpi che continua a ricevere
dai combattenti di Hamas a Gaza pur dopo oltre due mesi di invasione e sterminii
bombaroli.
Hamas è un’organizzazione politica con almeno trent’anni di
storia ed evoluzione alle spalle, sostenuta dalla maggioranza del popolo
palestinese (oggi in misura anche maggiore, come dimostrano sondaggi effettuati
in questi giorni a Gaza e in Cisgiordania). Israele ha fatto di tutto, oggi e
negli anni, per decapitare l’organizzazione, senza riuscirci, assassinandone i
dirigenti e quadri.
L’operazione del 7 ottobre per la presa dii ostaggi, grazie
ai quali liberare i propri fratelli sequestrati nelle carceri israeliane, è
stata concepita e attuata con un preciso scopo geopolitico, perfettamente
riuscito, sebbene a un costo spaventosamente alto (i palestinesi vi sono
abituati e lo accettano).
La strategia statunitense-sionista per la ricolonizzazione
del Medioriente, perduto con le lotte del riscatto arabo, è stata frantumata insieme
al seppellimento degli Accordi di Abramo (Israele-Emirati, Bahrein, Marocco, in
prospettiva Arabia Saudita). Vi ha anche contribuito, in sinergia poco
appariscente con la rivolta palestinese, il dinamismo diplomatico cinese con il
formidabile risultato della riconciliazione tra Arabia Saudita e Iran e conseguente
neutralizzazione dell’arma che gli Stati Uniti usavano per alimentare una
conflittualità regionale, necessaria al loro “divide et impera”.
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