Fulvio
Grimaldi per L’Antidiplomatico
Ursula
e Al Jolani: destini paralleli
TERRORISMO:
IL RE E’ NUDO. MA REGNA
Torno
su due eventi della settimana scorsa che, nel ritmo con cui si susseguono di
questi tempi accadimenti importanti, strategici, quasi sempre sconvolgenti,
rischiano di finire nel cassone cerebrale di casa. Mi riferisco a due eventi
epocali relativi a protagonisti di questa fase sullo spicchio di pianeta nel
quale abbiamo la non felice sorte di vivere noi. Eventi che strappano veli su
fatti, meglio malefatte, del recente passato, e che minacciano di incidere pesantemente
sui livelli di legalità, democrazia e verità.
Iniziamo
con il caso che sembrerebbe riguardarci più da vicino, sebbene l’altro comporti
senz’altro conseguenze più rilevanti e globali. E’ il caso della governatrice del
continente europeo (Russia e componenti minori escluse). Il tribunale europeo la
marchia di illegalità, cioè ce la restituisce da fuorilegge, malfattrice per
aver fatto dell’industria farmaceutica USA, ma non solo, la temporaneamente
massima potenza profittatrice delle nostre vite e dei nostri soldi. E ciò a
forza di miliardi probabilmente indebiti, sicuramente in eccesso e all’insaputa
di tutti noi che saremmo titolati a sapere. Seppure nei limiti di quanto
impongono le democrazie occidentali nell’era perenne del marchese del Grillo:
io so’ io e voi (parlamento e cittadini) nun siete un cazzo.
La
cosa è significativa anche perché ribadisce, appunto, un metodo. Difatti in
questi giorni si sta ripetendo, non tanto nella forma della dazione di denari
all’insaputa di coloro che ne dovranno fare a meno, quanto in quella della
costruzione, via legge che i denari li estrae dai singoli paesi, del nuovo
pilastro dell’ultracapitalismo europeo: il militare. Il militare nelle due configurazioni
che ne costituiscono anima e corpo: le industrie produttrici di armi e coloro
che ne fanno poi uso.
Ursula,
già lobbista e ministra– alla pari di Crosetto – di quel settore
politico-economico in Germania, è oggi giunta felicemente al potere assoluto
con un premier Blackrock (azionista delle maggiori industrie belliche del mondo
e non solo), trascorre di illegalità in illegalità. Per il suo operato da ministro
sarebbe tuttora inseguita da un’inchiesta giudiziaria relativa all’ assegnazione,
nel segno dell’amichettismo, di varie consulenze ministeriali, redditizie ma
indebite. Inchiesta che il suo ruolo a Bruxelles ha fatto rapidamente finire
sotto le sabbie del Baltico brandeburghese.
Dipanando
un curriculum di assoluta coerenza, la Von der Leyen degli utili di 90 miliardi
generati dalla supposta pandemia e dal dubbio vaccino con allegato tampone PRC
manipolato a forza di moltiplicazione dei cicli, ne avrebbe indirizzati ben 60
agli amici vaccinari, in primis all’amico Albert Bourla, AD di Pfizer.
Compenso
per ben 900 milioni di dosi, con opzione per ulteriori 900, con centinaia di
milioni in eccesso e quindi da buttare. Ma pagati. Non ne venimmo a sapere quasi
nulla. Ci furono nascosti sotto omissis sui prezzi e sulle clausole relative
agli indennizzi dovuti per effetti avversi (poi moltiplicatisi in misura
esponenziale), messi interamente a carico del committente pubblico, cioè noi.
Pratica
subito stigmatizzata dalla Corte dei Conti europei. Ma che riuscì a superare, grazie
alla nonchalance della baronessa e dei suoi valletti, le
richieste-proteste di alcuni volenterosi dell’altrimenti parco di buoi di
Strasburgo. Fino alla resa dei conti del Tribunale UE che, ritenuta illegittimo
il rifiuto al più autorevole giornale d’Occidente, il New York Times, di
rivelare gli accordi con Pfizer, ha imposto a Ursula di rendere noti i celebri
omissis messi a copertura di quanto - e come e perché – Ursula aveva concordato.
motu proprio, col partner in affari Albert Bourla.
Copertura
cui qualche ufficio UE aveva poi portato il soccorso della “sparizione” degli
accordi stessi, tutti disinvoltamente formulati con scambi di sms tra Ursula e
Albert, Che peccato, erano stati cancellati, perchè “irrilevanti”, dalla documentazione
di ciò che la Commissione fa o non fa…Documentazione, ricordiamo, che avrebbe
dovuto mantenerci al corrente sull’esborso di nostri 60 miliardi di euro per un
eccesso strepitoso di dosi, perlopiù inutili. Miliardi e dosi oltretutto
serviti, più a che a salvare i nonni dal contagio dei nipotini, a ridurci tutti
a gregge obbediente anche in vista dell’arrivo di cani in armi e pastori
armaioli, con conseguente disciplinamento ed economia di guerra.
Rappresentanti
nel parlamento UE delle sinistre hanno ora chiesto la “dimissioni di tutti i
parlamentari europei che hanno sostenuto la Von der Leyen nella grave
violazione dell’obbligo di trasparenza e legalità”. Ovviamente, la cosa è
rimasta lì, Vox clamantis in deserto.
La
corte europea, sollecitata dal New York Times, ci ha svelato qualcosa che
inerisce ai nostri soldi e alla nostra salute, oltrechè all’anima democratica
dell’Unione di cui facciamo parte, ponendoci forse in condizione di saperci
guardare meglio da vannemarchi, imbonitori e tappetari politico-farmaceutici
che svolazzano tra le sale del Berlaymont.
Ma
l’incontro a Damasco del 14 marzo, all’ombra benedicente di Mohammed bin
Salman, tra Donald Trump e Al Jolani, riciclato nel democratico Ahmed al
Sharaa, va molto oltre. Ci sbatte in faccia, con la rozza improntitudine che
Trump manifesta in ogni sua iniziativa, una verità che alcuni di noi avevano
visto incisa a chiare lettere (esplosive) sulle immagini del crollo delle Torri
Gemelle e del muro del Pentagono, ma di cui la maggioranza s’era bevuta la
paternità islamica di terroristi sauditi evolutisi, durante le ferie in USA, da
viveur bevaioli e donnaioli in ascetici combattenti pronti al martirio-
Abbiamo
ingoiato l’invereconda versione ufficiale poi confezionata a Washington, a dispetto
dell’incancellabile, per quanto occultata, sequenza video degli israeliani che,
evidentemente avendo saputo (fatto?) tutto in anticipo, su un terrazzo di
fronte filmavano l’evento, corredando le riprese con balzi e girotondi di
soddisfazione. Un indizio degno di prosecuzione, non meno di quanto lo fossero
gli addestramenti in carcere di certi bombaroli di certi attentati europei.
Arrestati da disinformati poliziotti metropolitani, si rivelarono agenti del
Mossad e, di conseguenza, vennero immediatamente liberati e imbarcati verso il
paese e gli organismi di provenienza. Paese e organismi che, comunque sia, sono
tra coloro che maggiormente hanno tratto incoraggiamento e vantaggi da quella che
ha poi segnato tuti gli anni successivi: la guerra globale al terrorismo:
Afghanistan, Iraq, Gaza, Libano, Siria, Yemen. A rifletterci, tutte operazioni
che hanno fatto molto comodo allo Stato del Dio degli Eserciti e che ora
guardano con appetito all’Iran.
Al
Jolani, ex-capo terrorista, nella sequenza para dinastica che viene fatta
partire da Osama bin Laden, è l’erede dei conclamati genitori dello Stato
Islamico (ISIS), Al Zawahiri e Al Baghdadi, proclamati teste (pensante e
operante) del serpente terrorista da tutti i presidenti USA successivi
all’11/9.
Nello
specifico, è’ l’emissario combattente del sultano neo-ottomano Erdogan, i cui
miliziani feriti Netaniahu curava negli appositi ospedali sul Golan. E’ colui
al quale il committente turco aveva affidato la conquista e il controllo della
vasta regione di Idlib, nel nord della Siria, in vista di Aleppo, cuore della
Siria e porta spalancata sul resto del paese. E’ colui per il quale Erdogan
aveva sapientemente allestito campi per 2 milioni di profughi siriani da usare,
sia per spremere miliardi all’UE, sia da addestrare, a forza di pagnotte e
ricatti, alla militanza aljolaniana contro il paese da spartirsi tra Ankara e
Tel Aviv, con il compenso di una rappresentanza formale a Damasco al
mercenariato sunnita che aveva eseguito il compito.
Ma
Al Jolani è anche, se permettete un ricordo personale, colui che al
sottoscritto, in Siria alla ricerca delle condizioni, dei motivi e dei modi che
accompagnavano l’assalto allo Stato più evoluto, civile, colto, laico,
socialmente equo, della comunità araba, ha mostrato una nuova forma di
intervento commissionato dall’Occidente.
In
Iraq la componente interna dell’offensiva sion-imperialista contro la nazione
unita e sovrana era limitata ai curdi, da sempre debole quinta colonna della
CIA. La guerra fu, come da tradizione, tra esercito colonizzatore e forze
nazionali di resistenza. Anche qui con un certo corredo terrorista, ma della
componente NATO, rivelatasi nelle torture di Abu Ghraib e nelle meno note dei
militari britannici sui prigionieri.
Ne
fanno parte anche l’assassinio di Nicola Calipari che s’era permesso di
liberare – e far parlare, anche se poi non ha detto molto - la giornalista
Giuliana Sgrena, ma anche altri episodi poi ripetutisi in Libia e Siria. Fu di
un tasso di criminalità pari alla distruzione della Biblioteca di Alessandria e
all’assassinio di Ipazia su mandato del vescovo Cirillo, la devastazione dei
siti millenari assirobabilonesi e la depredazione del Museo Nazionale
Archeologico e della Biblioteca Nazionale, in combutta con terroristi reclutati
nel Kuwait.
In
Iraq la componente interna dell’offensiva sion-imperialista contro la nazione
unita e sovrana era limitata ai curdi, da sempre debole quinta colonna della
CIA. La guerra fu, come da tradizione, tra esercito colonizzatore e forze
nazionali di resistenza. Anche qui con un certo corredo terrorista, ma della
componente NATO, rivelatasi nelle torture di Abu Ghraib e nelle meno note dei
militari britannici sui prigionieri.
Al
Jolani è anche, mi sia permesso, un ricordo personale, colui che al
sottoscritto in Siria alla ricerca delle condizioni, dei motivi e dei modi
dell’assalto in corso allo Stato più evoluto, civile, colto, laico, socialmente
equo, della comunità araba, ha mostrato una nuova forma di intervento
commissionato dall’Occidente.
Con
pochi altri colleghi con cui ci erano avventurati in una guerra senza precisi
fronti e con pericoli incombenti a 360 gradi, ebbi diretta esperienza dei
metodi con cui il neopresidente siriano conduceva la sua guerra per procura,
liberato dall’onta dei 10 milioni di taglia e dalle sanzioni imposte a una
Siria che, da lui e dall’aggressione colonial-terrorista, si difendeva. A
Damasco, un giorno, arrivai 2 minuti dopo che un edificio era stato fatto
esplodere alla maniera delle Torri Gemelle, Ospitava alcuni uffici della
polizia metropolitana e le abitazioni delle loro famiglie. Arti di agenti e
pezzi di passanti spiaccicati sui muri degli edifici circostanti, fin sotto il
soffitto di un alto cavalcavia, pozze di sangue come pozzanghere dopo un
diluvio. 80 morti di cui due terzi civili.
A
Oms, con un gruppo di giornalisti, visitammo un ospedale. Si, tipo quelli che
Israele polverizza con tutti dentro, dicendo di colpire Hamas. Anche qui
intendevano colpire i soldati di Assad, che ovviamente non c’erano. Ma c’erano
pazienti, sanitari, visitatori, e noi giornalisti. Fummo bersaglio di scariche
di proiettili che, infrante le finestre, si ficcarono nei soffitti e nelle
pareti.
Ma,
come altre volte ho raccontato, gli orrori dei miliziani di Al Jolani, ora
ricuperati al ruolo di liberatori dalla “dittatura” di Assad e democratici
interlocutori per la rapina delle risorse del paese, avevano ben altri mezzi
per diffondersi e provocare un terrore finalizzato alla resa e alla
sottomissione. Che per 14 anni non riuscì. Catturavano, uccideva, mutilavano,
stupravano, scuoiavano, impiccavano agli alberi, annegavano in gabbie di ferro
sprofondate nei fiumi, lanciavano dai ponti e, strafatti di droga, sistematicamente
giubilavano.
Riprendevano
tutto con i cellulari, si scambiavano le prodezze e, soprattutto, giravano i
video delle atrocità ai cittadini delle zone da conquistare. Stesso costume
oggi praticato dai militi sionisti a Gaza. A me famigliari, amici, esponenti politici
delle vittime, a Oms riuniti in un’assemblea da cui la protesta avrebbe dovuto esplodere
sul mondo, hanno mostrato quelle immagini strazianti. Quali con l’amico, quali col
figlio, quali con la moglie, quali con un mucchio di corpi.
Questa
era l’opera di Mohammed Al Juliani. Un fiduciario del campo sion-occidentale e,
dunque, di tutti noi, quelli della parte giusta e buona del mondo. Oggi
riconosciuto e frequentato capo di quel frammento di Siria che i committenti
esterni gli hanno concesso.
Ma
la stretta di mano di Trump a questo personaggio, va oltre l’ammissione che il
terrorismo va bene, o comunque lo si può assolvere, quando sia praticato da
noi, tipo Guantanamo, Mi Lay, o Dresda. Non però quando siamo sempre noi,
Occidente politico, a praticarlo e, fingendoci vittime, lo facciamo rivendicare
ai nostri proxy, tipo Al Jolani.
Non
solo Torri Gemelle. A partire da quell’episodio del 2001, non certo la prima
delle False Flag su cui rigogliano le aggressioni, basti ricordare le BR
reinventate e Moro, momento culminante della nostra stagione delle stragi
mafio-fasci-statali, abbiamo conosciuto due lustri e passa di terrorismo
endemico in Occidente a fuori.
Abbracciando
Al Jolani, protagonista di quella strategia scellerata, il presidente degli USA
ha rivelato al mondo ciò che la stragrande maggioranza degli umani si rifiutava
di accettare. Che, se il terrorismo era il male assoluto, come sentenziavano Bush,
Obama, Biden e tutto la cortigianeria mediatica a reggere lo strascico, quel
male assoluto è stato riconosciuto degno di governare a Damasco nell’interesse
della nostra parte del mondo.
Tutti
gli attentati rivendicati dallo Stato Islamico e da altre targhe della jihad
islamica, a partire dall’11 settembre e a finire con la frantumazione della
Siria, hanno la stessa firma, travisata nel nome de plume “terroristi
islamici”. Dal riconoscimento del capo jihadista in Siria da parte della
massima autorità USA e occidentale, vera lacerazione del velo di Maja, dovrebbe
discendere la consapevolezza in tutta l’opinione pubblica della vera e univoca
responsabilità della stagione degli attentati, definiti islamici e svoltisi
nelle prime due decadi del millennio con strascichi nella terza.
Ne
dovrebbe conseguire un’altra certezza cambia-mondo: Dovremmo pensare a cosa è
derivato, o, piuttosto, è stato tratto, dalla catena di stragi terroristiche
successive a quella delle Torri Gemelle e che, nelle rivendicazioni, o
attribuzioni, è perlopiù risultato consanguineo delle prodezze di Al Jolani in
Siria e del combinato Isis-Al Qaida qua e là.
Che
ne è stato di tutti noi dopo i due decenni di spargimento di dolore e sangue tra
la gente? Nella Parigi del Bataclan e di Charlie Hebdo, o nella Mosca del
teatro, a Magdeburgo dei mercatini di Natale, a Londra della metro e di London
Bridge, a Bruxelles, Boston, Monaco, Mumbai, Barcellona… E vai e vai e vai, per
tutte le prime due decadi del secolo. E se non c’era l’avvertimento ignorato di
qualche agenzia della Sicurezza, c’erano i precedenti da carcerato del sicario,
schedato ma non vigilato, c’era la rivendicazione dell’ISIS, o c’era il
retroterra iraniano o arabo, comunque musulmano. Salvo qualche fisiologico
diversivo europeo, tipo quello del 2011 in Norvegia, con 77 morti. Poi, di
colpo, tutto è finito. Neanche più un mortaretto. Era cambiata la formula
Noi
abbiamo creduto a quanto ci spiegavano e loro, i potenti, hanno metabolizzato
nelle istituzioni rinnovandosi in Stato necessariamente di sorveglianza,
controllo e limitazione del libero andare e fare. E il primo capitolo del libro
che si è poi continuato scrivere con la penna intinta nel Covid letale e poi
nella crisi climatica-colpa nostra e poi nella guerra universale per via della
minaccia russa…
E
così siamo andati perdendo pezzi di Habeas Corpus, di Carta dell’ONU, di
Costituzione, di democrazia UE, di diritto internazionale e nazionale e
cittadino. Senza neanche farci troppo caso.
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