martedì 15 luglio 2025

Fulvio Grimaldi per L’Antidiplomatico --- Terroristi i partigiani quando sono palestinesi? --- MEDIORIENTE, CARTA VINCE CARTA PERDE

 



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Non solo RAI, La7, Mediaset

La BBC, magistra informationis, che mi avviò, con notevole rigore e ricchezza di istruzioni, al mestiere che da quegli anni ’60 cerco di praticare, quanto meno con integrità, è sotto schiaffo. Uno schiaffone non da poco, somministrato nientemeno che da oltre un centinaio di suoi giornalisti, alcuni tra i più prestigiosi e da più di 300 professionisti del reparto audiovisivo. Il documento, pubblicato su tutti i media, denuncia dell’augusta “Auntie” (zia, come la si chiama da sempre) le indecenti manipolazioni, falsità, distorsioni, gli occultamenti. Il tutto sotto il titolo “Disinformazione sistematica dell’informazione BBC sul conflitto israelo-palestinese e, specificamente, su Gaza”.

I rimproveri, a volte dure proteste, mirati personalmente al direttore generale Tim Davie e che chiedono le dimissioni di Sir Robbie Gibb, Consiglier d’Amministrazione e già capo delle Comunicazioni del governo tory di Theresa May, parlano di strutturale faziosità filo-israeliana e filoccidentale, di censure editoriali, pressioni interne e silenziamento delle voci fuori dal coro, con minacce di rappresaglie a chi non sta agli “ordini di servizio”.

Ci hanno negato il nostro lavoro di giornalisti. Ci hanno censurato articoli critici di Israele. Si pretende da noi una neutralità che in realtà si traduce nell’invisibilizzazione della sofferenza dei palestinesi e della loro resistenza”, dichiara il testo. Con particolare indignazione viene poi menzionata la cancellazione del documentario “Medici sotto attacco”, che documenta le distruzioni e stragi israeliane di tutti gli ospedali di Gaza.

Il documento, che solo un’allucinazione potrebbe immaginare ripetuto dai giornalisti e dipendenti del nostro servizio pubblico e magari indirizzato anche a Enrico Mentana, così conclude: “Siamo collassati in termini dei nostri tradizionali standard deontologici. Non stiamo informando con correttezza e contesto, né rappresentando le vittime palestinesi con umanità. Si priorizza la protezione di Israele da qualsiasi critica piuttosto che riferire la verità”. E, con riferimento alle differenze di valutazione degli eventi d’Ucraina rispetto a quelli in Palestina:” Perché utilizziamo termini come “massacro” o “crimine di guerra” per gli uni e non per gli altri? Perché la voce dei palestinesi viene sistematicamente presentata come sospetta?

Attingendo alle stesse fonti e formulando interpretazioni basate sulla stessa linea politico-editoriale, si può estendere la denuncia della narrazione BBC su Gaza a quasi tutta l’informazione generalista in Europa e nell’Occidente politico. Basti pensare che Hamas, movimento di liberazione, è sulla lista delle organizzazioni terroristiche. Israele no. E neppure gli USA. E neppure i fascisti italiani. Con, tuttavia, elementi in controtendenza che si sono potuti manifestare e, in alcune occasioni, anche imporre, grazie alla sicumera editoriale dei disinformatori, che gli ha fatto commettere peccati di avventatezza e faciloneria.

Il vero e il falso delle Mille e una giornate mediorientali

E’ il caso, ancora poco evidenziato, della Resistenza delle organizzazioni militanti e combattenti in Cisgiordania e, soprattutto, a Gaza, ma anche dei missili che a Israele arrivano dallo Yemen, e che colpiscono porti e complessi industriali, e dei colpi a mercantili diretti a Israele (vedi qui l’affondamento del cargo greco “Magic Seas” nei giorni scorsi, di cui gli yemeniti hanno poi tratto in salvo l’equipaggio).

Ma è soprattutto il caso della “guerra dei 12 giorni” di Trump e Netaniahu, trasformata da debacle strategica in epopea sion-statunitense. Le iniziali narrazioni, diffuse a trombe spiegate più dal bimbominchia Trump che dal suo più cauto ed esperto compare di Tel Aviv, a costante rischio di sputtanamento agli occhi di una popolazione insofferente, sono già state rosicchiate da risonanti voci dal sen fuggite e pubblicate da media impertinenti qua e là.

Vale la pena riassumere in un breve elenco quanto tra immagini satellitari, media israeliani come “Times of Israel”, o “Haaretz”, autorevoli quotidiani pur nettamente filo-atlantici e filo-israeliani, come “The Telegraph”, ammissioni dei Servizi Segreti del Pentagono (DIA) e persino la rete Starlink, hanno documentato, a dispetto del divieto di fotografare e riprendere, che il governo di Netanayahu impone ai cronisti. Del resto, perfino lo stesso Donald Trump aveva parlato “di danni senza precedenti inflitti a Israele”.

E’ lo stesso Trump che, peraltro, aveva scrupolosamente taciuto su quanto i missili iraniani avevano fatto alla più grande base USA in Medioriente, Al Udeid, in Qatar. Immagini satellitari, diffuse anche da Associated Press, hanno rilevato la scomparsa di una cupola geodesica (adibita allo studio delle modificazioni della crosta terrestre) subito dopo il raid. Al posto della struttura, chiamata Radome, che conteneva il cuore dei sistemi di comunicazioni militari utilizzati dalle forze statunitensi, i satelliti rilevavano uno spiazzo vuoto.

E, come ciliegina sulla torta è arrivato il racconto del Pulitzer, Seymour Hersh, su ciò che effettivamente era stato fatto alle centrali nucleari iraniane, per le quali già la DIA, su dati ottenuti dal CENTCOM, Comando Centrale delle FFAA USA, aveva ammesso che nessuna distruzione completa era riuscita. E Hersh è quello, inoppugnabile, del massacro di Mi Lay in Vietnam e del Nord Stream fatto saltare dagli USA nel Baltico (altro che “Panfilo ucraino”!).

Detto ciò che hanno subito le tre centrali iraniane di Fordow, Natanz e Isfahan, dove, secondo DIA e Hersh e ovviamente gli iraniani, nessuna delle celebrate Bunkerbusters, sganciate dai superbombardieri B-2 Spirit è riuscita a perforare la roccia fino alla profondità utile di 80 metri e quindi a distruggere le centrifughe e i reattori adibiti all’arricchimento dell’uranio. Uranio che, a detta ormai di tutti, era stato allontanato e messo al sicuro nelle settimane precedenti ai raid. Secondo Hersh, il programma nucleare iraniano non è stato annientato, ma soltanto ritardato nel tempo.

Va precisato che tale programma, in tutti gli anni dal 2018, quando Trump rescisse l’accordo USA-Iran sull’arricchimento dell’uranio a fini civili, non aveva mai previsto l’arricchimento oltre la soglia del 60%, quando per la bomba atomica, del resto bandita in perpetuo dalla massima autorità iraniana, ne occorre il 90%. A questo proposito va ricordata un’altra fenomenale sola a demolizione della credibilità del premier israeliano. Ne parliamo dopo.

Cosa i missili iraniani hanno colpito in Israele

Secondo le fonti citate sopra, confermate dalle immagini satellitari, questi i più rilevanti obiettivi distrutti o danneggiati durante i 10 giorni di lanci di missili e droni iraniani, in gran parte passati attraverso le difese antiaeree israeliane e USA di Patriot e Iron Dome.

-       Il complesso militare e dell’intelligence di Kirya, detto il “Pentagono israeliano”.

-       L’Istituto Weizman delle Scienze, che partecipa al programma nucleare.

-       Il Quartiere Generale dell’Intelligence Militare a Herzliya, con i centri di spionaggio delle unità d’élite 2800, 504 e 9900.

-       Il quartiere generale operativo del Mossad.

-       Le basi aeree di Nevatim e Tel Nof, che ospitano gli F-15 e gli F-35 e i centri di comando delle Forze di Difesa Israliana a Tel Aviv e Haifa.

-       La raffineria di Bazan a Haifa, il più grande centro di trattamento di carburanti del paese.

-       Una megacentrale elettrica ad Ashdod

-       Il complesso Rafael di Sistemi di Difesa Avanzati, a nord di Haifa.

-       La zona industriale di Kiryat Gat, centro di produzione di microprocessori e di equipaggiamento militare ad alta tecnologia.

-       Il Parco Tecnologico Avanzato di Gav-Yam, nei pressi di Beersheba.

Nel corso di questi attacchi non sono morte che 28 persone, mentre i bombardamenti israeliani sull’Iran hanno determinato 600 vittime, oltre a quelle a cui si è mirato direttamente a livello di dirigenze scientifiche e militari.

A Gaza il mese più letale per Israele

Se giugno è stato uno dei mesi più nefasti per Israele, lo è stato anche per la letalità sofferta a Gaza negli scontri con i combattenti di Hamas e della Jihad Islamica. Tra gli episodi più recenti quelli di un ordigno esploso in una casa a Khan Yunis perquisita dall’IDF i cui 6 soldati israeliani sono morti e altri 14 sono rimasti feriti e, il 23 giugno, l’attacco di un singolo combattente palestinese a un blindato israeliano sul quale è salito e vi ha introdotto una granata che avrebbe ucciso l’intero equipaggio di 7. Ce ne occupiamo dopo.

L’informazione palestinese sugli episodi di guerra combattuta è carente. Per ragioni diverse, sia in patria, che nella diaspora. In quest’ultima si preferisce evidenziare lo sterminio e le atrocità subite dalla popolazione civile, elementi tragici ritenuti più propizi alla formazione di solidarietà per le vittime e della condanna dello Stato occupante. Per notizie sulla guerra combattuta valgono testimonianze dirette, la prestigiosa agenzia araba in Libano Al Mayadeen, parzialmente Al Jazeera del Qatar e la piattaforma internazionale “Resumen” che opera dall’Argentina. Oltre a fonti mediatiche israeliane, residui di democrazia, che non si attengono rigorosamente ai diktat di discrezione.

E’ rigido costume dell’informazione politica israeliana minimizzare perdite, carenze, danni subiti, arretramenti. Serve a mantenere alto il morale di una popolazione che, a forza di missili iraniani, libanesi, yemeniti, iracheni e da Gaza, sono anni che deve rifugiarsi nei bunker al suono delle sirene e, dunque, vivere in condizioni di insicurezza sistematica. E quanto possa essere destabilizzante psicologicamente il ricorrente urlo delle sirene, me lo ricordo bene dalle esperienze tra il 1940 e il 1945.

E se lo ricordano i 10.000 israeliani emigrati in Grecia a partire dal 7 ottobre della mattanza IDF e gli altri 80.000 partiti per rientri nei vari paesi d’origine.

Una cifra fornita dall’IDF prima del mese di giugno, parlava di 438 tra soldati e ufficiali caduti a Gaza. Osservatori che si basano su varie fonti, mediatiche, di intelligence, anche famigliari, calcolavano in un migliaio le vittime israeliane a partire dal 7 ottobre 2023, non comprese quelle morte quel giorno, civili e militari, a causa del fuoco incrociato nel caotico e improvvisato intervento di carri armati ed elicotteri contro gli incursori palestinesi e a seguito dell’adozione della “Dottrina Hannibal” da parte dell’IDF.

Carta perde carta vince?

Carta perde, carta vince. E’ il giochino che praticavano qualche decennio fa, in piazza e vicino alle stazioni, gruppetti di imbroglioni. Chi mescolava e disponeva le carte, chi si fingeva passante e, ovviamente, vinceva indovinando la carta giusta. Oggi il mescolamento e la disposizione dell’informazione, con particolare e cinica perizia sui conflitti, ripete precisamente quel trucco. E chi solleva le carte dell’informazione perde sistematicamente. Non più soldi, ma la realtà.

Poi però ci sono le crepe. Le apre l’eccesso di zelo, la consolidata affermazione di impunità e irresponsabilità che rende disattenti, il formicolio di rifiuto e rivolta che si verifica anche nelle società più blindate sul piano mediatico e del controllo sociopolitico.

Prendiamo l’esempio di colui che vorrebbe essere considerato il più astuto e impunibile di tutti: Benjamin Netanyahu. La tracotanza del trentennale premier della colonizzazione forzata e genocida, simbolo e rompighiaccio del declino di Israele nel momento in cui ha provato ad esprimere la massima potenza espansiva bellica, si fa uccidere dal ridicolo.

Un ridicolo attenuato solo dalla disponibilità mediatica a dimenticare e far dimenticare. Cosa rimane di credibile, rispettabile, accettabile di un personaggio, leader tra i grandi, che, scoprendosi ciarlatano e imbonitore, si è espresso così nel tempo?

1995 a CBS, L’Iran saprà produrre bombe nucleari entro tre, massimo cinque anni (numeri magici, ora attualizzati per la minaccia di attacco russo). 1996, in Parlamento, Il tempo sta per scadere. 2006 su Headline Prime: L’Iran può costruire 25 bombe atomiche l’anno, tra 10 anni ne potrà possedere 250. 2012, ITB Times, L’Iran c’è molto vicino. Tra sei mesi possederà uranio arricchito al 90% con cui produrre bombe nucleari. 20212, 67ma Assemblea generale dell’ONU, Netaniahu disegna una bomba e dice che l’Iran sta passando dal 70% al 90% di arricchimento dell’uranio, necessario per costruire la bomba. 2015, Tra poche settimane l’Iran avrà il materiale necessario per creare un arsenale di bombe nucleari. 2018, CNN, Hanno le competenze per produrre armi nucleari in pochissimo tempo.

Per tutto quest’arco di trent’anni di bomba atomica imminente, l’Iran, certificato dall’AIEA, che conduceva periodiche ispezioni in tutti i centri di ricerca e produzione nucleare, non arricchiva l’uranio oltre al 3,5%, per salire al 20% in virtù del trattato concluso con gli USA di Obama e, poi, al 60% , dopo che Trump aveva annullato il trattato e né USA né l’UE avevano sospeso le sanzioni. Arricchimenti utili alla produzione di isotopi per la radioterapia del cancro e di energia elettrica.

Queste certificazioni dell’agenzia ONU per l’energia atomica venivano rilasciate quando direttore generale era l’egiziano Mohamed El Baradei, persona corretta e integra. Il suo successore dal 2019, l’argentino Rafael Grossi, che ha avuto la stessa libertà di ispezione dei siti e che Tehran ha cacciato dal paese nei giorni scorsi, si è invece prestato. Il 6 giugno, con intervento chiaramente propedeutico all’attacco di 4 giorni dopo, senza che nulla fosse mutato nella ricerca nucleare iraniana, ha ventilato: in Iran “in effetti, si sarebbe vicini all’arricchimento per la produzione della bomba atomica”. Netanyahu e Trump ringraziano.

E’ genocidio, ma anche guerra con due contendenti

Un qualsiasi cronista, analista, osservatore, commentatore che sappia dove mettere il  naso e buttare lo sguardo, fuori dal terreno inquinato dell’informazione atlantica, per sapere cosa sta succedendo in Medioriente (ma vale anche per il conflitto USA-Russia in Ucraina), sa che a Gaza si tratta, sì, di genocidio, ma non solo. E, a veder quante notizie siano disponibili sulle attività militari della Resistenza palestinese nelle sue varie articolazioni, si chiede quanto debbano essere colmi i cestini nelle redazioni di coloro che quelle notizie non danno.

E’ una domanda che mi posi quando, inviato di Liberazione a Baghdad durante e dopo l’aggressione del 2003, confrontai l’uragano di denunce che si abbatterono su noi per dirci delle armi di informazioni di massa e poi dei trionfi militari riferiti dagli embedded, e l’assoluto silenzio, sia sul campo di sterminio in cui l’Iraq andava mutandosi, sia sulla massiccia e capillare battaglia dei resistenti iracheni. Che si protrasse per almeno otto anni e inflisse agli occupanti perdite e danni mai resi pubblici. Dopo il 2011 gli USA, coadiuvati da Israele e da turchi e sauditi, inventarono e allevarono l’ISIS, o Stato Islamico. Fecero finta di avversarlo, ma lo sostennero con rifornimenti, per aver la scusa di distruggere nodi strategici, città e infrastrutture in Iraq e Siria. Vedi le due grandi città in posizioni strategiche, Raqqa e Mosul.

A proposito di Mosul e di Kirkuk, centri della regione petrolifera irachena, furono polverizzati dai bombardamenti USA per assegnarne le macerie ai vassalli curdi, a garanzia di futuri sfruttamenti. Allora si fece di tutto per oscurare e poi eliminare dalla Storia quella mai sopita resistenza irachena che si era poi concretizzata nelle Unità di Mobilitazione Popolare, settore iracheno dell’Asse della Resistenza patrocinato dall’Iran e comprendente, oltre a Hamas, gli yemeniti e gli Hezbollah. Furono le UMP, e solo queste, più tardi incorporate nell’esercito iracheno, a liberare Mosul

Così capita con i combattenti e i combattimenti della Resistenza palestinese, a Gaza e, in misura ancora immatura (anche perchè minata dal collaborazionismo operativo dell’ANP) in Cisgiordania. Operazioni quotidiane, imboscate, eliminazione con ordigni esplosivi lungo i percorsi, martellamento con mortai, scontri a fuoco, eliminazione di carri armati e blindati, tra Gaza City e Rafah, passando per Khan Yunis e Bei Hanoun, di cui nessuna fonte a ovest di Cipro dà conto.

Casualmente, anche da media israeliani indisciplinati come Haaretz, o Hadashot Bezman, o Canale 12, o Yedioth Ahronoth (che parla di “prezzo troppo alto in vite di soldati, pagato per risultati mancati), balza all’occhio attento la notizia di 60 soldati israeliani caduti a Gaza negli ultimi due mesi (Haaretz); o dei 40 militari uccisi o feriti quando l’edificio che avevano occupato saltò per aria nel quartiere di Al Sheyaiya a Gaza City; o del tank Merkava dato alle fiamme a Khan Yunis; dei cinque soldati uccisi e dei 14 feriti, del Battaglione Netzah Yehuda, a Beit Hanoun; del soldato morto e dei tre feriti della Brigata Corazzata Revohot, a nord di Gaza, ammessi dallo stesso esercito; dei video girati dalla Brigata Al Qassam a Ma’an, a sud di Khan Yunis, che illustrano l’imboscata a una colonna di veicoli blindati trasporto truppe e del successivo arrivo di elicotteri a prelevare morti e feriti.

A fine giugno, il comando israeliano ammise 438 caduti a Gaza, tra ufficiali e truppa. Cifra riduttiva secondo la stampa di Tel Aviv.

Queste, alcune delle operazioni condotte dalla Resistenza nelle due settimane tra fine giugno e inizio luglio. E l’elenco potrebbe continuare. E forse giustificare anche i 1.300 suicidi di militari israeliani, denunciati dalla pubblicazione Hadashot Bezman e i rifiuti opposti al reclutamento da centinaia di riservisti.

In questo gioco del nascondino rispetto alle perdite subite e rispetto al fallimento strategico di una guerra dell’esercito più potente della regione, contro alcune migliaia di guerriglieri, su un’area di 40x12km, che non ha raggiunto nessuno degli scopi prefissati: conquista del territorio, cancellazione della Resistenza, svuotamento della Striscia, svolge un ruolo decisivo l’immagine. Quella di una forza onnipotente, invincibile da 80 anni, moralmente e materialmente superiore a tutti, di cui non dovrebbe essere possibile immaginare una sconfitta, il fallimento del progetto. Guai! Guai, anche per la continuità di un soccorso esterno diplomatico, tattico, strategico, propagandistico, politico, che potrebbe venir meno alla vista che, dopotutto, non ne vale la candela.

Terroristi i partigiani quando sono palestinesi?

E finchè, nel mondo che osserva e in qualche modo partecipa, si aderisce a questo modulo e si occulta una lotta di liberazione anticoloniale, antifascista, antirazzista, che dovrebbe vederci tutti a fianco, sotto la spaventevole montagna di vittime e sul fondo di un oceano di sangue, Israele e i suoi complici sono soddisfatti. E’ vero che hanno ammazzato i giornalisti di Gaza a centinaia, ma le immagini delle vittime, sconvolgenti, ma anche paralizzanti, le hanno fatte passare. E pour cause: meglio vittime che combattenti. Chi le vede, si netta la coscienza compatendo e anche genuinamente soffrendo. E manifesta. Contro il genocidio. Mai per chi lo combatte.  Come insegnano gli espulsi dalle università, i convegnisti cui si nega la sala, i blogger “terroristi” che parlano di Hamas, l’assenza di cartelli per Hamas nelle manifestazioni, è rischioso.

Da noi qualcuno è venuto da fuori, è stato definito liberatore e ha sostituito un’occupazione con un'altra. Ma il riscatto  lo dobbiamo ai partigiani, quando gli italiani  hanno cessato di essere vittime. Ce lo siamo dimenticato? Ogni singolo israeliano che si riconosca nello Stato dell’Apartheid è un occupante. Terroristi i partigiani quando sono palestinesi?

Al contrario della metafora di cui sopra, dei biscazzieri della “carta vince carta perde”, la domanda su chi in questa congiuntura, tra Israele, Palestina, Iran, Usa, mondo, ha vinto e ha perso, merita una risposta chiara. Ha perso chi si era proposto certi risultati e non li ha ottenuti (ricordate? Hamas, Gaza, palestinesi, tutti via, giù il regime degli Ayatollah, distruzione del potenziale nucleare e missilistico, frantumazione dell’unità nazionale). Vince chi quei risultati li ha sventati. Poi c’è il piano morale. E lì non c’è nemmeno discussione.

Disse il Napoleone degli inizi: “La religione è quella cosa che impedisce ai poveri di assassinare i ricchi”. Per il tema che abbiamo trattato, qualcun altro ha detto: “La non-violenza integrale è il disarmo unilaterale che impedisce agli schiavi di liberarsi dagli schiavisti”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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