Per Becciolini Network, Stefano Becciolini intervista Fulvio
Grimaldi
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All’indomani della morte del
presidente iraniano Ibrahim Raisi, quando l’universo mondo (e anche il
contromondo) si beveva e rigurgitava la storia del tragico (intendendo
“opportuno”) incidente con l’elicottero “provocato dal maltempo e dalla nebbia”
(che non c’erano), aggiungendo nel più temerario dei casi “misterioso”, già
elencavo gli indizi che, ben più numerosi dei tre richiesti da Agatha Christie,
corroboravano la prova dell’assassinio.
Mica grande merito, di fronte al
diluvio dei fatti. Semmai grande demerito delle volpi della nostra informazione,
o complice, o pavida, o normalizzata. Che ora, alla luce della vittoria del
“moderato”, del “riformista”, insomma del presunto compatibile, Massoud Pezeshkian, si accingono timidamente a
raggranellare qualche ombra di sospetto sull’eliminazione del capo dell’”Asse
del Male”.
Ciò che induce anche
i più mansueti dell’ordine della giarrettiera imperial-sionista a festosamente
riconoscere che la rimozione del “conservatore” Raisi, diretto responsabile
dello schiaffazzo impartito all’invincibile occupante della Palestina con
missili e droni in pieno sulle sue basi militari (in risposta alla strage nell’
ambasciata iraniana di Damasco), ha cambiato in meglio le carte nella partita
con il Male, è la vittoria del medico già ministro della Sanità sotto il caro
moderato Mohammed Khatami, presidente che aveva schiacciato parecchi occhiolini
all’indirizzo dell’Occidente.
Ci si aspetta di conseguenza atteggiamenti aperti, se non amichevoli,
da parte di un capo di governo a cui, da
medico, spetterebbe deontologicamente l’impegno di condannare coloro che dal
1989, con le sanzioni, a dispetto dell’accordo sul nucleare raggiunto, hanno privato
i milioni di liofiliaci del paese dei farmaci necessari per sopravvivere. E il
sottoscritto non si è ancora levato dagli occhi l’immagine dei centri di Stato,
o volontariato, a Tehran, dove facevano le code giovani per vedere se lì rimediavano
quanto gli avrebbe salvato la vita. E così gli oncologici, i diabetici, gli affetti
da tifo, colera,
tetano ed ameba.
Tante manifestazioni, qui e là, dei patiti della guerra al velo, ma da
noi mai una contro chi negava agli iraniani, che dai tempi di Serse non avevano
più aggredito nessuno, l’essenziale farmacologico e alimentare per restare in vita.
Chi è dunque Massud Pezeshkian, 70 anni, il cardiochirurgo che ha
prevalso di misura sul contendente Saeed Jalili , da noi definito
“ultraconservatore”, praticamente il demonio, e in patria chiamato “martire
vivente” per aver perso una gamba nella guerra Iraq-Iran degli anni ’80,
ex-negoziatore del trattato nucleare con gli USA.
Nel 2013, da deputato, si candidò alla presidenza, ma fu cancellato
dalla rosa su voto del Consiglio dei Guardiani. Da parlamentare in
rappresentanza della città di Tabriz, perorò il dialogo con tutti i paesi e
blocchi del panorama geopolitico. Dichiarò ripetutamente che, senza pregiudizio
per la consolidata cooperazione con Russia e Cina, preziosi seppure insufficienti
ammortizzatori delle pesantissime sanzioni occidentali, si sarebbero dovuti
cercare rapporti migliori con l’Occidente e gli Stati uniti, rigorosamente
fondati su “dignità, saggezza e interessi nazionali”
Sostiene anche la riattivazione dell’accordo sulla ricerca nucleare
concluso con Obama e annullato da Trump. Accordo, peraltro, avversato in patria
da un vasto fronte capeggiato dall’ex-presidente Ahmadinejad, perché negava
all’Iran, che pure, diversamente da Israele, aveva firmato il Trattato di Non
Proliferazione nucleare, l’arricchimento dell’uranio al livello necessario per
utilizzarlo a fini di energia e medicina. E, comunque, non aveva comportato la
cancellazione delle sanzioni.
Sanzioni in atto dalla rivoluzione del 1979 e via via aggravate al punto
da mantenere l’Iran, oltrechè sotto la perpetua e snervante minaccia di
un’aggressione israelo-statunitense, in uno stato perpetuo di gravissima crisi
economico-sociale, caratterizzata dalla mancanza di beni di consumo essenziali,
carenza di parti di ricambio per l’industria, di anticrittogamici per
l’agricoltura e, come già detto, soprattutto di prodotti d’importazione e
condizioni bancarie per assicurare alla popolazione l’essenziale per la salute.
Sicuramente ne ha sofferto il morale della società iraniana che pure,
rispetto ai tumulti per la questione del velo, spesso alimentati da squadre
armate del terrorismo MEK (basato in Albania e foraggiato da Washington) e
delle minoranze curda e beluchi (di cui da noi nulla si dice) e dall’accusa di
brogli elettorali quando l’esito non era quello gradito all’Occidente,
dimostravano sostegno a Stato e governo con ripetute manifestazioni milionarie.
Quella successiva al bombardamento terrorista di Israele sul consolato in
Siria, con 16 morti, aveva visto raccolti a Tehran 1,5 milioni di cittadini e
altri milioni in tutto il paese.
Del resto, la questione del velo, così preminente nei media della
propaganda razzista e bellicista dei media occidentali, non risulta
all’osservazione diretta, come anche da noi direttamente constatato nei luoghi
della presenza giovanile e femminile delle città iraniane (vedi il mio docufilm
“TARGET IRAN”, girato assieme a Sandra Paganini). Come ricordo
nell’intervista, alle donne iraniane interessa maggiormente il dato, unico
anche per molti paesi sviluppati, dell’assoluta maggioranza delle donne
laureate, rispetto ai maschi, e dalla loro presenza ai massimi livelli delle
amministrazioni pubbliche e private, a partire dalla magistratura,
dall’economia, dall’industria.
La speranza degli organizzatori dell’incidente con l’elicottero: dopo l’intransigente
Raisi, un moderato che lasci affondare l’Iran senza rispondere colpo su colpo?
Chi dunque, conta sulla rimozione fisica del presidente Raisi per vedere
aprirsi, con Pezeshkian, una corsa alla pacificazione con l’Occidente, a iniziare
dall’apertura dei mercati iraniani agli avvoltoi multinazionali euroamericani,
avrà modo di ricredersi. Pezeshkian e Jalili si sono sempre dimostrati fedeli
alla Repubblica Islamica e al suo sostegno della rivoluzione palestinese. Ne
rimane, a monte, la garanzia indefettibile della Guida Suprema, Ali Khamenei, i
cui 85 anni non risulta abbiano inciso sulla sua lucidità, determinazione in
difesa della sovranità del paese, autorità. Senza parlare di un popolo di 90
milioni di cittadini, istruiti e con piena coscienza di cosa è in gioco.
Sotto Raisi l’economia iraniana, devastata dalle sanzioni, aveva
ricuperato la ripresa iniziata sotto Ahmadinejad (grande amico di Ugo Chavez)
fino a produrre un picco del 5,7% annuo del PIL, con una parallela diminuzione
della disoccupazione dal 9,6 al 7,6%.
Ciò su cui si può contare con assoluta certezza, non è tanto uno
scambiarsi di affettuosi sensi tra USA-Sion e Iran, quanto un più accentuato
accanimento, tramite sanzioni e forme di aggressione occidentale finanziaria
varia, che riportino la crisi economica a un nuovo apice, nell’eterna speranza,
eternamente frustrata, che questo porti al tracollo del paese e induca il nuovo
presidente, “moderato”, alla sottomissione.
Rimarrebbe anche l’opzione militare, incessantemente evocata dallo Stato
ebraico. Ma, alla luce dei fallimenti registrati a Gaza da quello che era
propagandato come esercito invincibile e dalla limitazione allo sbattere di
sciabole che Israele fa verso il nemico Hezbollah , da cui le ha prese già due
volte, 2000 e 2006 (sotto i miei felici occhi), risulterebbe un’opzione
impraticabile,
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