La mobilitazione per la liberazione di Julian Assange, il
giornalista che con il suo Wikileaks ha smascherato menzogne, occultamenti e
delitti del cartello criminale imperiale, sta mettendo in crisi l’intero
apparato dell’informazione manipolata e pilotata.
Nel quarto anniversario della sua cattura da parte della
polizia inglese, che a forza lo ha estratto dall’ambasciata dell’Ecuador in cui
era stato prima accolto e poi sequestrato e dopo quattro anni dio inumano
trattamento nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, diventano
inarrestabili nel mondo.
Il muro dell’omertà e della viltà dell’informazione
generalista si va sgretolando. L’enormità del sopruso inflitto a un giornalista
che non ha fatto che il suo dovere, e il significato che tale sopruso comporta
per la libertà di stampa nel mondo, occidentale, dominato dalle oligarchie
dell’informazione, ha fatto breccia anche tra chi prima esitava a unire la sua
voce alla protesta.
Da Roma a Milano, da Londra a New York, da Canberra a
Berlino e Parigi, si succedono presidi, cortei, flashmob, convegni per esigere
la liberazione di questo nostro martire della libertà.
Il proposito di estradarlo negli USA e farlo rinchiudere a
vita, silenziando per sempre lui e tutte le voci libere nel mondo diventa, con
ogni mobilitazione, un crimine sempre più difficile da realizzare, anche per la
sedicente “patria della democrazia”.
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