Colpi di coda contro la
pace “cinese” in un Medioriente che cambia faccia… e la cambia al mondo
Ostacolato
nella manovra contro la magistratura, portata avanti nel quadro della lotta
della comunità NATO per eliminare due dei tre Poteri, legislativo e
giudiziario, isolato nella sua bellicosità dalla rimessa in questione, per mano
della Cina, degli storici conflitti nella regione, il regime parafascista di
Netaniahu e Ben Gvir, pratica il solito diversivo della guerra ai palestinesi e
alla Siria, in atto, e di quella annunciata contro l’Iran.
Dopo
la ripetuta irruzione nella Moschea di Al Aqsa, terzo luogo sacro dell’Islam,
in violazione di tutte le convenzioni, con pestaggi, ferimenti e arresti di
centinaia di fedeli inermi in preghiera, l’esercito israeliano ha lanciato la
sfida alle modeste risposte praticate da Hamas da Gaza e dal Libano, con alcune
decine di razzi, sostanzialmente inoffensivi
Ha
colpito i campi profughi palestinesi in Libano, campi della disperazione e
dell’abbandono, da cui afferma siano partiti i razzi, ma ha evitato di lanciare
missili sulle basi di Hezbollah, memore delle due sconfitte subite da queste
milizie volontarie nelle due invasioni del 2000 e 2006. Ma ha raso al suolo
l’inerme Gaza, polverizzando di nuovo edifici di abitazione, ospedali, una
scuola, infrastrutture produttive e dei servizi basilari.
Questa
feroce escalation non deve essere attribuita solo agli istinti razzisti e al regime di apartheid che non possono non
essere attribuiti al regime di Netaniahu e Ben Gvir. Segue a una progressiva
intensificazione delle misure repressive (che vedono, tra le altre violazioni
dei diritti umani, 1000 palestinesi detenuti da anni senza processo e senza
accuse. Invasioni di abitati palestinesi, in particolare nel campo profughi di
Jenin e nella città di Nablus, si sono succedute, provocando decine di morti e
centinaia di feriti, Ovviamente, quel poco che, con mezzi praticamente
inesistenti, i palestinesi riescono ad opporre agli assalti di uno degli
eserciti più potenti del mondo, come anche le reazioni spontanee di popolazioni
esasperate e senza speranza, meritano in Israele, come nella nostra sedicente
Comunità Internazionale, la qualifica di terrorismo.
Tutto
questo succede nella totale immunità dello Stato dei soli ebrei, come si
definisce costituzionalmente Israele, in faccia a 7,5 milioni di palestinesi
(tra cittadini di Israele e cittadini di niente), tollerato dallo stesso
Occidente politico che riversa i beni, le armi, i soldi dei propri cittadini,
per quanto malmessi, nella tirannia guerrafondaia di Kiev.
“Comunità
internazionale” che, con ogni evidenza condivide la prospettiva del regime
israeliano di uno Stato monocratico, vale a dire del solo potere esecutivo,
affrancatosi dagli altri due. In Ucraina questo progetto è realizzato, da noi,
in Francia, negli USA, in Israele, ci stanno lavorando. Sarebbe il Grande
Reset. Per cui, piena comprensione a Netaniahu, Ben Gvir, all’esercito di
occupazione e ai suoi paramilitari delle colonie, se con il diversivo
dell’aggressione ai palestinesi, queste forze del Nuovo Ordine cercano di
distogliere la popolazione ebraica dalle sue potenti proteste contro il
governo.
Ma
sicuramente l’escalation di Netaniahu è determinata anche da un altro movente. Il
risolutivo – per una prospettiva di pace e stabilizzazione - intervento
diplomatico della Cina in Medio Oriente ha profondamente alterato i fin qui
consolidati equilibri geopolitici regionali. A netto scapito di chi vi agiva da
manovratore dei fili, USA, Israele e, in misura, minore l’UE, e con grande
vantaggio di chi si muoveva per superare tensioni e conflitti.
La ripresa dei rapporti diplomatici
tra i due grandi protagonisti dell’annoso scontro strategico (ma fatto passare
per religioso), Iran e Arabia Saudita, sancita a Pechino grazie alla mediazione
di Xi Jinping, con annessi accordi per reciproci investimenti economici e un
comune apparato di sicurezza per la regione, cambia le cose nel Medioriente,
con effetti su tutta la geopolitica mondiale.
Le ricadute sono
incalcolabili. Si ripercuotono beneficamente su tutti i conflitti che da anni e
decenni divampano in Medioriente, con per protagonisti, diretti o dietro le
quinte, questi due stati, Iran e Arabia Saudita, che si affrontavano per interposte
milizie, armamenti e finanziamenti. In Siria gli aggressori, a parte i
bombardamenti e l’occupazione curdo-statunitense del Nord Est e i jihadisti
protetti dai turchi a Idlib, sono le bande terroriste addestrate e armate dagli
USA e finanziate dai sauditi e dagli Emirati. In Yemen i sauditi e Abu Dhabi,
guidati dai radar e dall’intelligence USA, bombardano da 8 anni (300.000 morti,
quasi tutti civili, distruzioni inenarrabili, colera e fame) e Tehran sostiene la
lotta di liberazione degli Houthi. In Libano i sauditi agiscono per interposte
fazioni musulmane e cristiane per controllare il paese, già cassaforte della
regione, ed eliminare dalla scena l’unica vera forza di difesa nazionale, gli Hezbollah,
che se la devono vedere anche con Israele.
Preparata dalle aperture alla
Siria di Assad, perno di tutta la conflittualità Mediorientale, da parte di Egitto,
Oman, Lega Araba, e ora anche Emirati, la ripresa di rapporti normali tra
Arabia Saudita e Iran, grandissimo merito della Cina (che, come per l’Ucraina e,
più in generale, con la Via della seta, si muove lungo l’asse della
multipolarità e della coesistenza, cambia le carte in tavola. Sottraendo quelle
decisive per la “strategia del caos” a USA, Regno Unito, UE.
Potrebbe essere una
rimodulazione in positivo delle sorti dei popoli di questa regione e dei loro
rapporti reciproci. Netaniahu, con la sua arma di distrazione di massa,
che si unisce a quella di distruzione di massa, praticata da 70 anni su
palestinesi e popoli arabi vicini, per assicurare il dominio all’imperialismo,
è contro questa prospettiva che ha scatenato le sue provocazioni contro i
palestinesi, la Siria e l’Iran.
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