venerdì 25 ottobre 2024

1) ELEZIONI IN GERMANIA-AUSTRIA: MA CHI SONO I NAZI? 2) MA I CURDI (A) CHI SERVONO? 3) MA USA O BRICS?

 

1)  ELEZIONI IN GERMANIA-AUSTRIA: MA CHI SONO I NAZI?

2)  MA I CURDI (A) CHI SERVONO?

3)  MA USA O BRICS?

 


Spunti di riflessione” – Paolo Arigotti conversa con Fulvio Grimaldi

Il ringhio del bassotto: o USA o BRICS (con Fulvio Grimaldi)

 

Se fosse una partita di pallacanestro direi che è finita con qualcosa come 89 a 23. A calcio sarebbe sarebbe stato una goleada. A tennis due set a zero. Come dire Sinner contro il numero 140 del ranking mondiale.

Parlo del confronto, da remoto, ma giocato sulla nostra pelle e sul nostro futuro, tra gli USA in preda a delirio pseudodemocratico elettorale, finalizzato in un modo o nell’altro a farli sopravvivere finchè la barca (la guerra) va, e i BRICS riuniti a Kazan (Russia!). Questi ultimi, che stanno diventando i primi, erano in 32 (quanti quelli della NATO, ma dieci volte più grossi), di cui cinque fondatori, cinque nuovi arrivati e tutti gli altri a bussare alla porta di casa.

Dall’altra parte si digrignavano i denti sporchi di sangue arabo alla prospettiva di non contare più nulla, se non in un deserto di ossa calcinate, come sarà quello su cui si accaniscono a Gaza. Non gli resta altro che quello come risposta a un mondo che rappresenta più o meno la sua metà in termini di territorio, popolazione, PIL ed energia.

Sono stati giorni della combutta-contesa Harris-Trump su chi possa, ancora per un po’, far camminare per cimiteri lo zombie NATO-Sion e, dall’altro lato del pianeta, un’assemblea di Stati e popoli, con tanto di deprecatissimo Segretario dell’ONU a piegarsi alla realtà oggettiva (non più a quella onirica del Piano della vittoria di Zelensky), che progetta pace, armonia, uguaglianza e vita per tutti e con tutti. Opzioni alternative, chiare e convincenti. Ed è un passo avanti che travolge parecchio filo spinato tessutoci attorno negli ultimi decenni..

Poi, con Paolo, ci siamo intrattenuti sugli esorcismi praticati sugli invasi dal demonio di Germania e Austria, Quelli da cui gli addetti ai lavori degli zombie di cui sopra pretendono di estirpare, a forza di formule liturgiche (“ultradestra”, “neonazi”, “fascisti”), il diritto di votare chi gli pare. E soprattutto qualcuno che non corrisponda al chierico esorcista Scholz e alla sua fissa di distruggere il proprio paese in nome di Biden e Zelensky.

L’esorcista doveva dividersi tra “estrema sinistra” (BSW- Alleanza Sahra Wagenknecht) e “estrema destra” (AFD, Alternativa per la Germania), la prima sull’Intercity del 16% (terzo partito, dal nulla), la seconda sull’Alta Velocità del terzo dei voti di tutti i tedeschi (primo in Turingia e Sassonia, secondo in Brandeburgo), con analoga fenomenologia in Austria, Hanno sfondato il Semaforo.

Semaforo, Ampel, essendo quei governi Democristiani gialli-Socialdemocratici rossi-Verdi verdi, di Berlino e Vienna che rescindendo i legami con chi ne alimentava le fabbriche e le case, avevano ridotto in brandelli la propria economia, il proprio welfare e da benestanti a malestanti i propri cittadini.

Ovviamente dalle nostre parti occidentali non usa chiedersi perché milioni passino da vecchie e corrotte cariatidi partitiche a forze nuove che non sono i lecca lecca degli USA e delle sue guerre, dell’OMS e delle sue pandemie, del FEM e dei suoi Nuovi Ordini Mondiali, del rigurgito olocaustico dei sionisti. No, meglio diabolizzare ed esorcizzare: sono nazi, vanno proibiti. E, sottovoce: Occhio, che questi rivogliono il pane che gli abbiamo mangiato.

UN BELL’ASSIST ALL’IMPERIALISMO

Gli argomenti sono tanti, ma qui ve ne metto sotto il naso uno che mi sta a cuore. Per me che li ho conosciuti e ne ho seguito le opere, è sempre stato un mistero perché certe sinistre si siano tanto incapricciati dei curdi, iracheni, iraniani o, soprattutto, siriani, che fossero.

Quelli iracheni li ho visti per decenni lavorare per il re di Prussia e il suo visir, la CIA. Con questi si sono impegnati a smantellare lo Stato unitario multiconfessionale e multietnico, antimperialista e antisionista. I loro capi, Mustafa e Massud Barzani, sono stipendiati dalla CIA, ne eseguono i mandati e, nel caso del capostipite, vanno a morire negli USA. Essendosi sollevati da musulmani integralisti e patriarcali contro l’Iraq laico ed emancipato, proprio mentre era minacciato di morte da chi gli attribuiva l’11 settembre e armi di distruzione di massa, si è attirato la mano pesante di Saddam.

Quelli iraniani, quando parte una rivoluzione colorata contro il governo, vanno nel Kurdistan iracheno ad addestrarsi e rifornirsi di armi presso contingenti NATO (anche italiani) e, tornati in Iran, danno il loro contributo alla destabilizzazione del paese che sappiamo da chi è stata innescata.

I più amati, però, da chi li considera avanguardia ecologica, femminista, democratica, Wako, della rivoluzione mondiale, sono i curdi siriani.

Usciti dalla loro enclave storico nell’angolo nord-est della Siria, proprio nel momento in cui USA e relativi mercenari ISIS si apprestavano a smembrare quel paese tanto ostico, laico, socialista e tanto anti-israeliano, si sono messi al servizio dell’invasore statunitense. A forza di pogrom anti-arabi, si sono impadroniti di villaggi e terre e hanno facilitato così la creazione di mezza dozzina di basi militari americane alle quali portano i beni del territorio: petrolio e frutti dei campi.

Ad educare il pupo sinistroide europeo si sono attrezzati con video, foto, interviste benevolenti, che ne mostravano le fanciulle in mimetica con mitragliatore sui seni, avanguardie della rivoluzione laica e democratica contro l’oscurantista dittatore Bashar El Assad, a fianco dei liberatori Marines.

Tanto erano avvenenti e coraggiose, che fu loro attribuita anche la liberazione dall’ISIS  della seconda città siriana, Raqqa. Dove non misero mai piede, se non dopo che la capitale dello Stato Islamico era stata rasa al suolo dai bombardieri di Trump. A Washington parve opportuno, come del resto poi a Mosul in Iraq, dare l’impressione che i jihadisti impiegati qua e là nel mondo, dalla Libia, all’Iraq, all’Afghanistan, in Siria, nel Sahel, in Nigeria, e per vari attentati in Europa, erano nemici, così nettandosi l’immagine compromessa dalle prove tecnico-politiche che l’11 settembre non aveva niente a che fare né con Al Qaida né con i sauditi.

Restava da mettere sotto la lente, neanche tanto da ingrandimento, il meccanismo che assicura la democraticità del voto presidenziale negli USA, al di là degli arzigogoli dei continuisti guerrafondai e colonialisti nei nostri media su come Kamala Harris fosse la scelta della civiltà e del bene contro l’obbrobrio putinista del candidato carota-chiomato.

E sotto la lente cosa appare? Un sistema, ideato alla fine del 700 dai progenitori degli attuali oligarchi bancari, agrari e industriali, sistema che garantisca la perpetuità dell’elezione dell’establishment da parte dell’establishment. Elegge il presidente se non chi è qualificato da conventicola e dollaro. Mica la gente che di queste cose nulla sa e nulla intende.

Trattasi di 538 grandi elettori eletti, per grazia di dollaro e debite affiliazioni, al Senato o alla Camera e che a quel punto non riescono a immaginare altro che eleggere presidente il loro affine, sostenuto dagli stessi fondi che aprirono il parlamento a loro. E se non si mettono d’accordo, ci pensa la corte suprema. Come nel 2000, quando per la differenza di un grande elettore su 538, Al Gore chiese il riconteggio, ma i giudici supremi lo rifiutarono e decisero loro. Decisero a favore del figlio di colui che ne aveva nominato, a vita, come il Garante Grillo, la maggioranza: il papà, Bush Senior.

Sistema le cui infiorettature contemporanee sono le operazioni di media, magistrati e intelligence, grazie alle quali un candidato è il manutengolo del nemico massimo (Russiagate) e l’altro, invece, è persona linda e retta. Tanto che è giusto che procuratori, FBI e CIA seppelliscano ogni inchiesta e ogni dubbio  sul figliolo (Hunter Biden) che si droga, frequenta malviventi e orge con  minorenni, fa affari sporchi in Ucraina, apre ai cinesi redditizi mercati in America grazie alle spinte del papà allora vicepresidente. Senza parlare degli affari pubblici gestiti segretamente su server privati da Hillary Clinton mentre garantisce ai suoi ambasciatori che “in Siria l’ISIS è roba nostra”.

A questo punto chiudo e vado a lavarmi faccia, mani e penna.

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