Massimo Mazzucco è un valido giornalista-regista investigativo. I suoi lavori, Il presunto allunaggio, l’autoattentato dell’ 11 settembre, il mega-imbroglio Ucraina, meritano le nostre standing ovations. E’ un amico, per quanto distanziatosi, forse in seguito ad alcune divergenze su interpretazioni dei fatti. Con il video sul 7 ottobre dell’attacco di Hamas ha, a mio avviso, indebolito la sua credibilità. Volente o nolente, il suo è stato il ricorso a uno dei classici sistemi messi in campo per demolire l’onorabilità e la verità di un protagonista della lotta contro il Potere.
E
aggiungo una considerazione cruciale. Fosse anche fondata la tesi di un Hamas
prezzolato a suo tempo e poi lasciato fare il 7 ottobre e quindi spinto nella
trappola – e NON lo è - , diffonderla ora, per amore di scoop alla Fracassi, a
detrimento dell’onorabilità e dell’integrità del cuore della resistenza
palestinese e umana, significa assumersi una pensate responsabilità
Lo
si è fatto molte volte e io ne sono stato testimone, in particolare al tempo
delle guerre all’Iraq. Saddam Hussein, da sempre l’antagonista più coerente e
pericoloso per americani e Israele, andava distrutto moralmente ancora prima
che militarmente.
Si
fece credere a un’opinione pubblica, che ne stava sostenendo la causa
antimperialista e antisionista e costituiva massa critica nell’opposizione
internazionale a contrasto della guerra (ricordate i milioni in piazza detti
“La Terza Potenza Mondiale”?), che, dopotutto, il presidente iracheno aveva
delle vergogne da occultare: era stato “l’uomo degli americani” i quali lo
avevano armato per decenni e, in particolare, contro l’Iran. Quindi, agli occhi
del suo popolo e dei suoi sostenitori internazionali, doveva risultare un
inaffidabile doppiogiochista, al quale non andava concessa nessuna solidarietà
La
storia degli armamenti USA forniti a Saddam si dissolse presto e sotto i miei
occhi: né a noi inviati sul campo, né dalle tante riprese dei giornalisti
embedded in onda sulle tv di tutto il mondo, risultò mai una sola arma
statunitense in mano all’esercito iracheno. Neanche una colt. Era tutto, dal
Kalashnikov al mortaio, antiquato materiale sovietico. Mosca aveva cessato di
rifornire Baghdad fin ai primi anni ’90, epoca gorbaciovian-eltsiniana della
“convivenza pacifica”.
Chi
veniva invece rifornito dall’Occidente, perfino di armi israeliane, era l’Iran:
ricordate lo scandalo “Iran-Contras”? Con i soldi ricavati da quelle vendite si
pagarono e armarono gli squadroni della morte utilizzati dagli USA contro il
Nicaragua sandinista (per fortuna oggi ancora in piedi a dispetto di Washington
e Vaticano).
Presentatosi e risettatosi con la denuncia delle condizioni
dei palestinesi di Gaza, prima e dopo il genocidio in atto, Mazzucco ricorre a
un esempio tirato crudamente per i capelli: l’attacco giapponese a Pearl
Harbor, provocato, come è ormai ammesso e documentato da sopravvissuti e
ricercatori, dalla minaccia di un’aggressione statunitense fatta pervenire a
Tokio. I giapponesi ci credettero e decisero un’azione “preventiva”, Roosevelt
sacrificò navi e uomini, ma potè dichiarare guerra all’Impero del Sol Levante.
In Palestina le cose sono un po’ diverse, a dispetto dello
sforzo di farle apparire affini. Sforzo che Mazzucco non è il primo a fare. Subito
dopo il 7 ottobre, sono spuntati come funghi coloro che provarono, nel nome
dell’infallibilità degli apparati israeliani e della bassezza morale dei loro
nemici, a giurare che è tutto un lavoro, per quanto cinico e brutale, dei
diabolici israeliani.
Dunque, per Mazzucco, Israele s’è fabbricata Hamas, fine
anni ’80, per contrastare Fatah del vecchio e pacificato Arafat (quello del
grande imbroglio di Oslo), che stava veleggiando tranquillamente verso la
senilità e, superate le intemperanze giovanilistiche della Prima Intifada,
verso un quieto convivere con i vari Barak, Rabin, Netaniahu (il primo),
Olmert. L’idea era quella di ridurre l’ancora percepita minaccia potenziale di
Fatah ad ancora più miti termini, facendogli balenare un rivale, Hamas.
Bastava, si calcolava, lasciare passare i soldi che i
Fratelli Musulmani del Qatar passavano ai fratelli di Palestina per vedersi
spaccare in due il movimento. Lo ribadivano gli “Israel Files” di Wikileaks,
esibendo gli scambi tra intelligence e ministeri degli esteri di Washington e
Tel Aviv. Ne veniva fuori un moderato malumore verso Fatah, tuttavia temperato
da compiaciuti riferimenti alla sua disponibilità ad acconciarsi, un qualche
pensiero su quell’entità ambigua di Hamas e, nell’evolversi della situazione,
una sua netta identificazione come nemico.
Tutto qui: l’idea che Israele si fosse creato Hamas,
l’avesse coltivato, promosso, pagato, non ha la benchè minima base. Ci hanno
provato a utilizzarlo come cuneo per fossilizzare il movimento, lasciando
passare aiuti e soldi dal Qatar. Poi, vista la piega delle cose, cioè visto
un’partito-organizzazione combattente che aveva guadagnato l’egemonia, anzi il
monopolio della resistenza, grazie alla sua identità genuina e alla sua
determinazione a riprendere e rafforzare il filo della lotta per la liberazione,
è iniziata la guerra, strisciante prima, poi genocida.
Con Hamas vittorioso delle elezioni in tutti i territori
occupati, ma non impedito da Fatah-Abu Mazen e dai loro conviventi-conniventi
israeliani a imporsi al governo di Gaza, parte la strategia dello sterminio
progressivo: il carcere a cielo aperto, la riduzione degli spazi e mezzi per
vivere, la confisca degli aiuti, finanziari e altri, le incursioni, i raid.
Siamo agli inizi del secolo. Nel giro di tre lustri si
succederanno cinque aggressioni, un po’ via mare e aria, un po’ via terra, un
po’ tutto. Strano trattamento per una creatura che viene detta tua. Io ne ho
visto e vissuta quella che, prima dell’8 ottobre, è stata la più feroce e
distruttiva: “Piombo fuso”, dal dicembre del 2008 al gennaio 2009. Quando,
incendiata dal fosforo bianco, la gente si inceneriva sull’asfalto, lasciandovi
una sagoma nera; quando una ragazzina di 12 anni mi raccontò che i suoi
famigliari, 27, usciti di casa con il fazzoletto bianco levato alto, vennero
mitragliati da Tsahal; quando le tre bimbette, figlie di un giornalista di Gaza
che era in collegamento diretto con una TV israeliana, vennero disintegrate
nella stanza accanto, centrata da un missile perfettamente consapevole.
Torniamo al teorema di Mazzucco. La sua descrizione, anche grafica, del Kolossal di sorveglianza intorno a Gaza, di barriere elettroniche, meccaniche, fisiche, a innesco automatico e, magari, a raggi ultravioletti e infrarossi, palloni aerostatici, deve essere tratta dal rendering di qualche progetto ultracibernetico. Perché non risultano a chi ha giracchiato da un lato o dall’altro della linea di separazione. Esistono barriere di reti elettrificate di cemento, torri di osservazione, radar, Quelle che Hamas ha sfondato con le ruspe e sorvolato con i parapendii, mentre l’apparato umano del comando militare principale, Erez, dormiva. Si fidavano dei dispositivi di sorveglianza che Hamas aveva neutralizzato e poi superato. Erano anni che nessuno aveva provato a passare. Del resto, nell’era dell’Intelligenza Artificiale, si sa, basta un cavetto tagliato per mandare in tilt il sistema.
Del resto, nei lunghj mesi della precedente operazione di
Hamas, “La Grande Marcia del Ritorno”, nel 2018, l’architettura descritta da
Mazzucco non esisteva, se non nelle forme più o meno perpetuatesi fino al 7
ottobre. Migliaia di palestinesi di Gaza si avvicinavano alle reti di
recinzione e da lì lanciavano sassi e aquiloni incendiari. I due schieramenti
si distanziavano di non più di 200 metri. L’IDF e la polizia di frontiera
rispondevano sparando: 234 morti.
Per quel che vale, io stesso, durante l’operazione “Piombo
Fuso” contro Gaza, mi ero avvicinato alla linea di separazione tra Gaza e il
resto della Palestina occupata. La presenza israeliana visibile era costituita
da torrette di controllo con soldati che, all’occorrenza, uccidevano i
contadini che si avventuravano a lavorare nei loro campi.
L’evidenza del fallimento dell’apparato di contenimento israeliano era l’assoluta sorpresa che ha caratterizzato la reazione israeliana. Il comando di Erez era stato fulmineamente occupato da Hamas e i suoi membri ridotti a rifugiarsi nei bunker sotterranei, incapacitati di organizzare le difese. Soprattutto grazie a questa defaillance, Israele dovette reagire in misura improvvisata, scoordinata, avventata. Con tanto di precipitarsi di carri armati e ben 29 elicotteri d’assalto che, data l’adozione della famigerata direttiva Hannibal (uccidere gli ostaggi piuttosto che farli portare via), spararono non solo sugli incursori gazawi, ma su tutto ciò che si muoveva. Figuraccia incancellabile per il “terzo o quarto esercito più potente del mondo”. Umiliazione letale.
Mazzucco avrebbe fatto bene a corroborare, con la sua
perizia, le tante versioni, basate su testimonianze, prove, immagini, che
israeliani onesti e altri ricercatori hanno prodotto su quel massacro da fuoco
amico. Anche quelle sulle decapitazioni di neonati e sugli stupri di massa via
via inventati da Tel Aviv e dai suoi portatori d’acqua per rimediare allo
scacco e giustificare la mostruosità di Gaza,
Oltre all’incrinatura del grande artificio propagandistico
dell’invincibilità e invulnerabilità del più efficiente esercito e della più
avanzata potenza mediorientale inflitta da Hamas e per la quale hanno pagato con
ignominiose dimissioni forzate tutti i
responsabili di esercito e intelligence, lo spot pubblicitario di un Hamas
coltivato e lasciato fare dallo Stato ebraico trova una smentita
incontrovertibile negli esiti militari e, soprattutto, politici del presunto
complotto di Netaniahu e sodali.
Sarebbe grazie ad esso che Israele è andato precipitandosi
in una fase declinante che ne avvicina un credibile epilogo? Grandi strateghi
davvero! Gaza, dopo un anno di aggressione con tutti i mezzi di sterminio e
distruzione a disposizione, Hamas, presunto prodotto di Israele, non è stata
debellata, continua a colpire Israele a Gaza e fuori e l’obiettivo di sollevare
la popolazione decimata di Gaza contro Hamas è risultato onirico. Nessuno degli
obiettivi fissati è stato raggiunto. La guerra dei tunnel neanche iniziata, la
città sotterranea di Hamas (qualche cantina di ospedale fatta passare per
bunker di Sinwar), su 250 ostaggi in un anno liberati appena 6.
In compenso Israele ha suscitato una rivolta di popoli tutt’intorno
a sé e l’indignazione e l’isolamento di tre quarti dei paesi del mondo. La
statura morale, fondata su un vittimismo, storico e attuale, che ne occultava
il ruolo di carnefice sistematico, è stata disintegrata. Israele è percepito
come protagonista mondiale del terrorismo contro i civili. La misura del suo impazzimento
sta nella risposta all’isolamento planetario consistente in un’esasperazione di
quello stesso isolamento: i paesi del mondo, riuniti nell’assemblea generale
delle Nazioni Unite, insultati come “palude di antisemitismo”, il suo
Segretario dichiarato persona non grata nello Stato sionista, le basi dell’Unifil
in Libano attaccate a cannonate.
Per quanto se ne celino i risultati, Israele è colpito in
profondità, ma sempre su obiettivi militari o infrastrutturali, da una crescente
schiera di nemici che ne moltiplicano i fronti di impegno militare e la
dimensione critica sul piano economico. Tra Sud e Nord, 250.000 persone, coloni
anche quelli arrivati 80 anni fa e loro prole, hanno dovuto essere evacuati. La
crescita del paese, privato della maggior parte degli investimenti si avvicina
allo zero, Nell’apparato produttivo sono venuti a mancare sia la componente
matura, tecnologica, richiamata alle armi per una guerra che non finirebbe mai,
sia la bassa manodopera dei palestinesi. L’immigrazione, indispensabile per
contenere l’irriducibile vitalità demografica palestinese e araba, si va trasformando
in un poderoso flusso emigratorio.
La fine dello Stato del razzismo e della violenza non sarà
vicina, ma non è neanche lontana. Comunque è inesorabile e autoinflitta. Un bel
argomento per un’eccellenza del giornalismo d’inchiesta come Massimo Mazzucco.
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